lunedì 21 luglio 2008

da 'Comunità Provvisoria' 20/07/2008


Pubblicato su a Autori Comunitari, a Franco Arminio by Arminio su Luglio 20th, 2008

metto qui un articolo uscito stamattina sulla prima pagina del corriere del mezzogiorno. è dello storico giuseppe galasso. prende spunto dal mio libro per svolgere alcune considerazioni sui paesi. il nostro blog è il blog dei paesi, il blog della paesologia e non della paesanologia. speriamo che nei prossimi mesi il tema dei paesi entri nell’agenda di questo disgraziato “paese”

_ armin / p.s. _ grazie al comunitario g.fiorentino che mi ha girato il file.


***Da Franco Arminio (Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia, ed. Laterza) si apprende della nuova scienza, denominata da lui «paesologia». Si tratta della disciplina— pensa Arminio — che può e deve dar conto di quel che sono i «paesi». Come si sa, con questo nome indichiamo le località di minore ampiezza e popolazione delle campagne, delle coste e soprattutto delle colline e delle montagne di un territorio. E poiché col termine «paese» si indica anche il territorio degli Stati e dei popoli di ogni dimensione (l’Italia è detta, ad esempio, il «bel paese»), con quel termine si indicano, dunque, il più grande e il più piccolo nella scala delle comunità umane.Nel Mezzogiorno i paesi sono innumerevoli e hanno formato per secoli e secoli l’habitat dell’umanità meridionale e il teatro delle sue esperienze umane e sociali. Su questo mondo dai trascorsi spesso millenari si è poi abbattuta, specialmente dall’indomani della seconda guerra mondiale, il vento tempestoso della civiltà industriale, fino all’attuale globalizzazione, ed è stato uno sconvolgimento radicale di tutto e per tutti. Arminio ne dice efficacemente gli effetti in un passo emblematico del libro. «Il vecchio alfabeto del paese — scrive — ha perso ogni lettera.Dalla a di asino alla z di zappa, passando per la p di pecora, per la c di contadino. Il nuovo alfabeto sembra cominciare dalla lettera d, dalla desolazione».Organicamente questo problema non è mai stato affrontato se non in occasione di qualche circostanza particolare. Così fu in particolare dopo il grande terremoto campano-lucano del 1980. Fiorirono allora varie polemiche sulla linea da seguire nella ricostruzione delle zone terremotate. Ricordo, in particolare, la discussione che ebbi al riguardo con Francesco Compagna. Appassionato e benemerito sostenitore, Compagna riteneva che quella fosse un’occasione storica per dislocare in sedi più convenienti, accessibili e moderne, a valle, i paesi disastrati di montagna e di collina, i «presepi» (come li si definiva) del Sud, appollaiati o rintanati nelle loro sedi di remota genesi e ragione, ai quali era anche questa collocazione territoriale a precludere un più intenso rapporto con la vita moderna. Un nuovo «Mezzogiorno dei paesi », dunque, più ameno, funzionale e moderno. A me, che pure apprezzavo questa idea, pareva, invece, che essa portasse a una rinuncia a un patrimonio storico e culturale che avrebbe privato il Mezzogiorno di molta parte della sua identità morale e civile e, anche, di un patrimonio, sol che fosse adeguatamente valorizzato, prezioso pure da un altro punto di vista. Pensavo al turismo in tutte le sue espressioni, da quelle dell’agriturismo che ha preso tanto impulso a quelle del turismo eno-gastronomico, da quelle del turismo paesistico e naturalistico a quelle del turismo delle tradizioni e del folklore e degli itinerari turistico-culturali.La discussione non era puramente accademica, né solo di principio. Molte speranze furono accese allora dai criteri stabiliti per la ricostruzione e che contemplavano non solo lo scopo della ricostruzione, ma anche quello dello sviluppo. Perciò il lavoro vero e proprio di ricostruzione andava integrato con quello per infrastrutture, attrezzature, scelte di localizzazioni e investimenti per determinate attività. Era un criterio moderno, non inteso appieno nelle discussioni non tanto politiche quanto politico-culturali di allora. La preoccupazione, che non fu solo di Compagna e mia, per una strategia degli insediamenti cedette, inoltre, il passo ad altre preoccupazioni. Soprattutto, poi, prevalsero le polemiche su molti aspetti discutibili dell’azione di governo post-sismico del territorio e le vicende giudiziarie. Ne è rimasto, perciò, soprattutto il giudizio drasticamente negativo e micidiale per la causa e la credibilità del Mezzogiorno che raffronta tempi, modi, costi e risultati della ricostruzione post-sismica nel Friuli con quelli che registrati qui.Altre discussioni generali non si sono poi avute, e, per la verità, non si erano avute nemmeno prima. Intanto, il problema dei «paesi » non ha fatto che aggravarsi. Ai miei occhi esso richiama molto il problema delle periferie urbane, la cui desolazione e la cui problematicità non sono state oggetto, negli ultimi decennii, di interventi davvero, se non risolutivi, almeno organici e consistenti.Per i paesi il problema è enorme, e le loro capacità di vita minimamente autonoma sono ormai ridottissime. Ne è investita l’intera dorsale appenninica del Sud da Civitella del Tronto a Villa San Giovanni, con una serie numerosa di situazioni analoghe anche fuori delle fasce collinari e montane. Vi vive tra un terzo e un quarto della popolazione meridionale. Le risorse necessarie sono di un ordine imponente, e i problemi di valorizzazione sono di una difficoltà corrispondente. Abbiamo, però, il grande vantaggio costituito dal fatto che per la tecnologia e le attività economiche e sociali i problemi pregiudiziali della dislocazione geografica e delle condizioni oro-topografiche incidono, oggi, molto meno di un tempo ai fini delle politiche di sviluppo o, almeno, di crescita. Che non sono, sia detto per inciso, quelle delle sagre, dei festival, delle feste e delle celebrazioni, di cui ormai si compone tutto, o quasi, ciò in cui nei paesi si ripone qualche speranza.Vogliamo sperare che anche il bel libro di Arminio inviti a riprendere finalmente in forma organica un problema così rilevante. Si tenga solo presente che, se, per dirla con lui, nella lingua dei «paesi» l’alfabeto comincia con la lettera «d» di desolazione, in un domani per nulla lontano potremo constatare che desolazione è anche l’unica parola di questa lingua.
Giuseppe Galasso

4 commenti:

Anonimo ha detto...

vorrei sapere, se qualcuno è informato, se il libro di Franco Arminio si può trovare in libreria a Sant'Angelo o nei paesi vicini.

Anonimo ha detto...

Che cosa non va nell' articolo del prof Galasso che si e' servito di spunti di riflessione nati ancor prima degli eventi dell' ottanta? non ho letto il libro di arminio quindi non ho afferrato il giusto significato dato al termine paesologia ma e' innegabile che il "separatismo" di tanti centri montani porta di per se' a inquadrare le cose in un modo diverso, forse distorto ma comunque limitato e limtante.Ecco da dove viene il termine paesanologia dal quale Arminio sembra tanto preoccupato di prendere le distanze.occorre chiedergli e chiedersi quali alternative trovare per rilanciare tali territori liberandoli, in primis, dalla desolazione dello spopolamento?

Anonimo ha detto...

condivido andrej: però rispetto elle altre realtà. del sud come del nord Italia, l'Irpinia in generale e Sant' Angelo in particolare, perchè ne è stata la capitale, ha pagato ancora di più per il terremoto del 1980 e per il modo in cui è stata 'gestita' la ricostruzione (si fa per dire)

Anonimo ha detto...

possibile che nessuno mi sappia die se il libro di Arminio si trova in libreria a Sant'Angelo?