mercoledì 13 agosto 2008

Roberto ROMANO ha scritto ancora qualcosa....

“E così avvenne il sacco di Roma, avvertito dai suoi cittadini come evento epocale, segno della prossima fine del mondo o della punizione che Dio infliggeva alla capitale del paganesimo.”Cala il sipario e termina lo spettacolo nell’anfiteatro ma il narratore rimane ancora lì, immobile, e attende il verdetto del pubblico; il suo corpo è chinato, i suoi occhi volgono a terra, verso il mosaico, le sue mani, raccolte dietro la schiena, tremano. Il segnale dalla platea tarda ad arrivare e gravato sul capo dal peso di tanto turbamento, affronta la risalita con la schiena a pezzi. Le scale sono vuote: non applaudono, non esultano, non si emozionano. Preso da tanta angoscia, ritorna dov’è il leggio, riapre il libro e controlla il finale dell’opera per sincerarsi di non aver trascurato nulla o per lo meno di trovare il bianco dopo la nota dei ringraziamenti. Ripercorre la storia da lui narrata: il re Alarico, i Visigoti nelle mura di Roma assediata, le malattie infettive che mietevano vittime. Tutto quadrava, eccetto l’assenza tombale del pubblico. Ripone la maschera teatrale sul viso: la vergogna lo surclassa. Il riflettore puntato sul suo capo è ormai spento, il momento di gloria superato; la consapevolezza dell’insuccesso, seppur tardiva, è ormai forte. Da lontano, al di là delle scale, in prossimità dell’arco principale d’ingresso, i miagolii dei gatti del vicinato colgono l’attenzione del narratore, che ,sofferente, abbandona il proscenio per recarsi da loro, unico segno di vita, conforto fraterno al semplice sfiorar di pelo. Ma percorrendo le scale non può far a meno di osservare le condizioni di degrado dell’anfiteatro: scritte sui muri, sporcizia, incuria dei fiori, fari bruciati o addirittura rotti. Il sintomo più tangibile arriva dall’acqua della fontana, stagnante, di un inspiegabile colore misto tra il rossastro e verde, un tempo sgargiante come un topazio ceruleo, viva di luce di fondo. Sa ancora riflettere quella fontana! Lo sguardo perso del narratore si riproduce riflesso in quella putrida mistura. Non è il sangue versato dai barbari, non è il pianto dei Romani alla stregua delle loro forze: è soltanto il deprecabile effetto del disamore, che colora tristemente quelle acque. Hanno smesso di sgorgare e zampillare anche le fontanelle lì vicino e le bocche, per rinfrescarsi nelle afose giornate di agosto, resteranno asciutte. La catarsi termina proprio quando sulle mani dell’attore, un gattino persiano infonde il suo calore…. E messo in braccio il felino, lo sfortunato si avvia verso l’uscita. La locandina del suo spettacolo non è affissa, fuori, in bacheca. Un’unica speranza margina l’amarezza nel congedo con il giovane anfiteatro….che un giorno, quelle pagine sul leggio al centro del palcoscenico vengano accolte da altre mani.
Roberto ROMANO

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